di Alfredo Lacerenza
VADO IN PENSIONE?
Ormai è solo una domanda retorica che si fa a se stessi. Il trattamento pensionistico ha subito in questi ultimi tre anni tante di quelle modifiche “peggiorative” che hanno reso incerta il calcolo dell’età pensionabile. Per i giovani, stando così le cose, oltre che andare in pensione in età molto più avanzata, si vedranno liquidare una pensione “irrisoria” (circa il 60% delle attuali) che saranno costretti a pagarsi od iscriversi ad un fondo aggiuntivo.
Perché le pensioni non sono altro che i risparmi che sono stati affidati allo Stato e detratti dalle buste paga. In Italia si vive più a lungo di altri Paesi ed anche l’età lavorativa si è allungata: non è difficile vedere “arzilli vecchietti” anche di settanta od ottanta anni lavorare come baldi giovanotti, anche se a volte ciò è dovuto al fatto di dovere e volere arrotondare lo scarno assegno che viene dallo Stato.
C’ è anche un cambiamento culturale, un processo di estensione democratica dei diritti, cultura ed informazione, che deve tradursi in servizi dei lavoratori, dei cittadini e degli anziani; per arrivare ad una migliore qualità della vita degli anziani si debbono attuare delle azioni che determinino una maggiore tutela di quella fascia di popolazione è la più esposta e più fragile, come i pensionati che presentano delle problematiche connesse ad una condizione che riguarda sia gli autosufficienti che i non autosufficienti.
Azioni che non debbono, però, ricadere solo sulle istituzioni ma che coinvolgano, o vengano promosse in prima persona dalle aziende, coadiuvati da anziani attivi in una visione di volontariato solidale. Sono piccoli passi, che potremmo chiamare di auto-aiuto, in cui la persona che è andata in pensione, od ha smesso di lavorare, può proporsi, come volontario, per essere di aiuto a chi sta per intraprendere il percorso che lo porterà alla fine dell’esperienza lavorativa.
L’Università “La Sapienza” di Roma ha già sperimentato, con buoni risultati, questo modo di fare, utilizzando pensionati che aiutassero altre persone vicine alla fine dell’attività lavorativa a comprendere cosa significava non tanto essere inattivi quanto vivere un’altra vita che potesse presentare altre tipologie di attività.
Questo utilizzo di pensionati è una pratica che da anni viene utilizzata negli Stati Uniti o per accompagnare altre persone all’inizio di un nuovo tipo di vita, oppure per avviare i giovani, o comunque i neo assunti ad impratichirsi con il lavoro che loro avevano svolto fino a poco tempo prima, Questa attività da mentore si rivela molto utile anche per quelle persone espulse dal mercato del lavoro (cassa integrati, esodati, mobilitati, ecc.) in cerca di una nuova professionalità che li porti a trovare una nuova occupazione, evitando problematiche psicologiche connesse al loro di stato di inattività che, in seguito, potrebbero trasformarsi in vere e proprie patologie fisiologiche.
I pensionati non devono sentirsi inutili, dopo avere lasciato il lavoro, ma devono, allo stesso tempo, essere stimolati a sentirsi ancora attivi.
Esiste un problema di comunicazione tra istituzioni, anche se si deve distinguere tra l’informazione diretta e le strategie della comunicazione, restando consapevoli che si deve iniziare dal diritto come cittadini di avere, ricevere, un’informazione corretta; non ricevere delle notizie in modo corretto, come la difficoltà dell’accesso allo scambio di informazione, non fanno altro che accentuare un’esclusione sociale e non rivendicare i propri diritti.
Sarebbe molto utile che vengano attivati dei servizi che rispondano ad una domanda di sostegno per chi si sta avviando verso il “termine” dell’attività lavorativa, in modo che non si abbia un “trauma” dal passaggio tra produttività (lavoro) e riposo (pensionamento), al fine di fronteggiare quelle depressioni che potessero emergere quando si affaccia con maggiore evidenza il problema della solitudine; assistere le persone, anziane o meno, con problemi di una fragilità psico-fisica è essenziale oltre che utile ad evitare ulteriori spese da parte del Sistema Sanitario Nazionale: ricordiamoci che prevenire è sempre meglio di curare.
C’è sempre un momento nella vita in cui non sappiamo più che fare. Non c’è niente di male a chiedere un aiuto, non ci farà perdere di dignità, anzi può aiutarci anche ad aiutare gli altri.
E’ ancora poco indagato ciò che accade nella persona, cosa avviene nel passaggio dal periodo produttivo, prima del pensionamento cosa che rappresenta un periodo delicato, controverso e soprattutto complesso, che porterà al pensionamento; è questo un periodo in cui c’è un intreccio forte di fattori, sia fisici che psichici, di cui ancora il fenomeno non è stato sufficientemente studiato, con ricerche sul campo.
Si deve cercare di affrontare al meglio il prepensionamento, soprattutto perché sono ancora poche le persone che considerano il pensionamento come una sfida, uno spazio da ridisegnare, un nuovo modo di inventarsi la vita, di proporre a se stessi nuove opportunità, ripartendo da ciò che ognuno ha costruito in precedenza. Si tratta del riadattamento personale a una nuova condizione in cui la percezione del tempo a disposizione si trasforma e richiede un cambiamento delle forze da impegnare.
Per arrivare a questo, però, serve che le istituzioni diano adeguate risposte sociali legate ad un’attenzione specifica anche alle esigenze che non emergono in modo chiaro; si deve cioè cercare di intuire anche ciò che non si vede, avere una particolare sensibilità ed un orecchio allenato, con una maggiore attenzione ad evitare quelle problematiche che, in un Paese (come l’Italia) in cui un terzo della popolazione è da considerarsi “anziana”, potrebbero costituire un nuovo stato sociale più a misura d’uomo.
Non si può negare che il pensionamento apre una finestra sull’idea della vecchiaia e sulle insicurezze che ne derivano, accentuate da un impatto sociale che, generalmente, non è ancora pronto a confrontarsi con l’invecchiamento della popolazione; con la rivendicazione dei diritti fondamentali si debbono dare delle risposte adeguate a bisogni inespressi ed al conseguente disagio individuale, alla fragilità psico-fisica ed alle richieste degli anziani.
Ecco perché puntare sulla qualità di una proposta sociale in riferimento al bisogno di salute, assistenza e servizi rivolti agli anziani/e e alle loro famiglie: c’è bisogno di una progettualità che faccia perno sulla dignità umana e sul diritto di ciascuno di essere assistito, affinché sia in grado di vivere secondo le proprie esigenze, potenziando le possibilità e le opportunità di affrontare il continuo mutamento del processo vitale.
I sei mesi che precedono il pensionamento vengono vissuti dal lavoratore come un periodo in cui ci si può iniziare a rilassare, di fatto è un momento in cui si inizia a vivere in tutto e per tutto lo stress che si è accumulato durante la vita lavorativa: in alcuni momenti ci si sente euforici per il futuro meritato riposo, questi momenti vengono alternati da altri in cui si vive, con nostalgia, il periodo passato insieme ai colleghi che tra poco diventeranno ex.
Tutto questo porta ad una demotivazione sul lavoro, ci si sente svuotati di energia mentre è proprio in questa fase che si deve cercare di reagire, di ritrovare uno spirito per meglio comprendere che l’andare in pensione non significa approssimarsi al momento della morte, sia sociale che materiale, ma che può diventare una condizione per mettere a frutto l’esperienza fino ad allora accumulata.
La produttività è qualcosa a cui aspirare. Il punto è che si deve iniziare a capire e a fare comprendere alla società che non esiste e non deve esistere il trinomio pensionato uguale anziano uguale improduttivo; occorre preparare i lavoratori a impegnarsi in qualcosa, per non farli trovare impreparati, fornendogli strumenti adeguati che gli permettano di decidere cosa è meglio per se stessi.
L’ALIMENTAZIONE NELL’ANZIANO
L’apparato digerente, ad una certa età, può presentare problemi di funzionalità dettata dal fatto che non si riesce più a digerire alcuni cibi, condizione che può portare ad una dieta non equilibrata “fai da te”, non prescritta da un dietologo ma suggerita da amici o amiche, o riviste spesso non specializzate. Condizione che può portare a conseguenze peggiori di quelle per cui si era iniziata la dieta “fai da te”.
Fermo restando che è sempre meglio rivolgersi ad un dietologo, si possono mettere in atto alcuni accorgimenti.
Se sono presenti problematiche di masticazione, perché si utilizza una dentiera od altro, non si debbono escludere di fatto ed a priori alcuni alimenti piuttosto è opportuno sceglierne alcuni più masticabili come purea, pasta corta (senza cuocerla molto in quanto può creare dei disturbi all’apparato digerente) formaggi freschi e non stagionati, frutta matura, pesce, uova, pane all’olio od al latte, ecc., gli alimenti più “ostici” possono essere preparati in modo che diventino più masticabili, ad esempio mangiare carne tritata, cuocere la frutta o verdura, passare i legumi, mangiare pesce.
Per la digestione è consigliabile mangiare poco ma frequentemente nell’arco della giornata; si può, ad esempio, fare colazione (con caffè, latte, fette biscottate e marmellata od una brioche), un pranzo normale ma non pesante ed una cena leggera il tutto alternato da due spuntini durante l’arco della giornata: uno a metà mattina ed uno a metà pomeriggio con dei piccoli panini.
Ricordarsi di masticare bene ed a lungo prima di deglutire perché la digestione inizia nella bocca e continua nello stomaco, quindi ingoiare un cibo già predisposto ad essere digerito favorisce stomaco ed intestino a svolgere bene il loro compito; per quanto possibile cercare di non bere bevande gassate perché, al di la di ciò che si pensa, non permettono una buona digestione oltre a non dissetare, evitare cibi troppo grassi ed i fritti e, cosa essenziale, non distendersi o mettersi a dormire subito dopo avere mangiato: meglio una piccola passeggiata specie dopo cena!
Per la stipsi (la stitichezza) si deve aumentare il consumo di fibre, come pane integrale, legumi, verdura e frutta; per queste ultime due è opportuno cambiare ogni giorno il tipo in quanto ogni specie ha una diversa combinazione di vitamine, sali ed antiossidanti, tutti necessari all’organismo.
Il bere molta acqua, a volte sforzandosi di farlo anche quando non si ha sete, è utile perché con l’avanzare dell’età lo stimolo e la sensazione della sete è ritardato rispetto al bisogno, durante tutto l’anno non solo d’estate, il rischio è quello della disidratazione che non si presenta solo come secchezza, svenimenti o cose di questo tipo ma, cosa ancor più grave, con un deperimento delle capacita organiche e psichiche, quindi aumenta il rischio di ictus, colpi apoplettici, collassi, infarti ecc..
Con il passare dell’età diminuisce anche la percezione dei sapori, in particolare il dolce ed il salato, quindi evitare di aggiungere ulteriore zucchero o sale ai vostri cibi; se proprio volete farlo usate il miele o lo zucchero di canna a posto dello zucchero normale, sale iodato o spezie ed erbe aromatiche al posto del sale marino.
In presenza di patologie o situazioni particolari, bisognerà attenersi alle specifiche indicazioni del medico.
CALDO: QUALCHE CONSIGLIO
Prevenire il caldo e l’afa, non è impossibile: la Protezione Civile fornisce con 72 ore di anticipo le previsioni meteorologiche, quindi si può già sapere quando ci sarà molto caldo ed intervenire in un determinato territorio. Uno stato di allerta, di maltempo o di troppo caldo, non dura mai per un lungo periodo, se non in casi eccezionali, quindi ci si può fare trovare preparati quando c’è bisogno, cercando di intervenire rapidamente o preventivamente.
L’estate è sempre un problema, specie se si rimane in città, e si è da soli, se, poi, le istituzioni non affrontano correttamente la regolamentazione di apertura e chiusura dei negozi, garantendo che per ogni quartiere ve ne sia una percentuale di almeno il 30%, specie di quelli alimentari e delle farmacie; fermo restando che un servizio di assistenza per gli anziani nei periodi più caldi dell’anno (magari esteso a tutti i soggetti deboli, come i diversamente abili) è necessario che venga predisposto preventivamente chiedendo alle ASL che i medici di famiglia, diano una disponibilità almeno nelle ore più calde della giornata
Ci si può, però, iniziare a difendersi creandosi una rete di persone con cui, restando anche loro in città, auto-aiutarsi.
Per aiutarsi da soli è opportuno usare piccoli accorgimenti:
non uscire di casa nelle ore più calde, se proprio lo si deve fare cercare di seguire un percorso ombreggiato, coprire la testa con un cappello od un ombrello e portarsi sempre dietro una bottiglietta d’acqua;
stare in ambienti freschi e ventilati, evitare il più possibile i condizionatori d’aria ed utilizzare, in alternativa, dei ventilatori, e rinfrescarsi con l’acqua spesso;
se viene il “mal di testa” bagnarsi con l’acqua (collo, polsi e volto), ricordandosi chela testa va inumidita ma non bagnata;
bere molta acqua durante il giorno, si dovrebbe fare sempre ma d’estate ancora di più. Bere, se possibile, acqua naturale, se si vuole bere un po’ di vino o birra meglio farlo di sera;
l’uso degli integratori va fatto sotto controllo medico, e non da soli o per sentito dire, in quanto potrebbero contenere delle sostanze che non sono adeguate ad una terapia farmacologica seguita;
l’alimentazione, specie nelle ore calde, deve essere adeguata e non appesantire. Non ci si deve mai fare mancare pasta (magari semplicemente pomodoro e basilico), frutta e verdura fresca, pomodori, insalata;
l’abbigliamento deve essere di cotone e/o di lino e, se possibile di colore chiaro: i colori scuri attirano il calore e quindi non permettono al corpo di rinfrescarsi adeguatamente;
se si ha la fortuna, o la possibilità, di andare in vacanza preferire luoghi freschi come la collina, se ci si reca al mare cercare di andare in spiaggia evitando le ore più calde.
LA MEMORIA E L’INVECCHIAMENTO CEREBRALE
Il declino delle facoltà mnemoniche è un disturbo neurodegenerativo è come tale è invalidante; di fatto i centri nervosi preposti all’apprendimento ed alla memoria subiscono, progressivamente, una degenerazione da parte di una proteina (beta-amiloide) che sembra scatenare una sorta di fattore tossico che porta alla disattivazione e/o morte dei neuroni, con conseguente deficit di funzionamento dei centri nervosi colpiti.
C’è, però, un recettore (NOGO) il quale è una proteina naturale con la funzione di “riparare” le fibre nervose quando si hanno delle lesioni a livello spinale, come quelle che vengono a verificarsi con la sclerosi multipla, interagendo direttamente con le placche di beta-amiloide. Ciò ha portato a comprendere che il NOGO è importante nei processi di regolare crescita delle fibre nervose ma non nella cura su disturbi neurodegenerativi
Per cercare di intervenire su queste problematiche è importante fornire una corretta informazione sulle loro cause e problemi che questi disturbi comportano, come il sentirsi disorientati in uno spazio familiare, il non ricordarsi il giorno od il mese o l’anno in cui ci si trova, avere comportamenti non adeguati alla normalità precedente. L’incremento o decremento dell’aggressività possono essere un segnale di piccole degenerazioni della memoria.
Da tempo è stato dimostrato che l’attività fisica come camminare, correre lentamente e fare sport non complessi (come il giocare a bocce) oltre che mantenere l’organismo elastico (come con la ginnastica dolce) ha anche un’azione protettiva sul cervello e sul sistema nervoso in genere.
Questo ha anche un’azione preventiva verso quei disturbi degenerativi a cui porta l’invecchiamento: potenzia le capacità cognitive, permette di alleggerire i deficit motori e sembra stimolare anche la produzione di nuove cellule nervose aiutando la persona a meglio difendersi dai deficit che si manifestano durante le inevitabili malattie neurodegenerative.
Una regolare e corretta attività fisica permette di frenare, o diminuire, la disattivazione dei neuroni dovuta all’invecchiamento cerebrale, anzi sembra che a volte ripristini qualche collegamento neuronale (sinapsi) che era andato perso; l’attività fisica sembra comportarsi come un vero e potente fattore di contro l’invecchiamento.
L’attività fisica agisce stimolando un effetto neuroprotettivo e neurotrofico sul cervello, aumentando la capacità di sopravvivenza dei neuroni arrivando a favorire la crescita di assoni e dendriti, cioè quei prolungamenti neuronali che permettono il collegamento tra i vari centri nervosi.
Quando si mette in moto la muscolatura si attivano tutta una serie di centri, organi e strutture nervose che permettono di generare un’attività, permettendo a loro volta di attivare l’ossatura e la muscolatura che dovrà poi eseguire l’attività. Proprio questa funzione del sistema nervoso permette di produrre acetilcolina e serotonina, proprio quelle sostanze che vengono stimolate prendendo antidepressivi ed ansiolitici, che faranno in seguito sentire il loro effetto su tutto l’organismo.
L’attività fisica fa bene ma fa anche bene l’attività psichica! Tenere allenato il cervello con letture, impegni sociali, relazioni è utile quanto il resto!
Quante volte un anziano viene messo da parte come inutile, senza sapere che lui è la memoria del tempo; di quel tempo che è passato e che non tornerà. Non volere ascoltare un anziano, anche se i suoi più che racconti o consigli vogliono essere nenie o paternali è sbagliato, equivale al passare davanti alla migliore biblioteca del mondo e non volere entrarci almeno per dargli uno sguardo.
Certo, non tutto quello che dicono gli anziani è giusto, e spesso vivono fuori dal tempo ma non è per tutti così!
Il vissuto psicologico può essere diviso in tante funzioni, tra queste troviamo la memoria, le associazioni di idee, l’affettività, la percezione delle cose, il linguaggio, tutte con una loro temporalità e ritmo.
L’affettività è un elemento di base nel vissuto psicologico della persona, i racconti che spesso gli anziani fanno sono legati a qualcosa che per loro è affettivamente molto forte ed è per questo che bisogna rispettarli.
Le funzioni, prima descritte, sono strettamente legate ad un’organizzazione psicologica che si va a costituire giorno dopo giorno all’interno di un percorso personale, attraverso mediazioni con l’ambiente circostante al fine di identificarsi e affermare di essere al mondo. Il ricordo, sapere dove ci si trova e cosa si fa, comprendere lo spazio in cui si agisce, è solo una parte del processo della memoria e non assume il significato del sapere orientarsi ma è un qualcosa di più complesso.
Nell’anziano la memoria può essere più presente nel lungo termine che nel breve termine, ciò è dovuto al fatto che con il procedere dell’età anche le sinapsi, cioè quei meccanismi cerebrali che permettono il passaggio di informazioni nel cervello, “rallentano” il loro lavoro; in questo rallentamento vengono coinvolte altre funzioni ed il ricordare è strettamente legato al meccanismo della memoria, quindi viene anche esso rallentato; parlando in modo più semplice, si può affermare che se prima un’informazione veniva subito immagazzinata ed era pronta ad essere riportata immediatamente alla memoria, ora questa viene immagazzinata più lentamente e ciò comporta che ci mette più tempo (anche un giorno, due o più) perché sia disponibile ad essere utilizzata come ricordo.
Inoltre, ci possono essere delle sovrapposizioni di informazioni, per il fatto che la nostra “biblioteca” (il cervello) potrebbe essere un po’ “impolverata” e chi la dovrebbe tenere a posto (i neuroni e le sinapsi) non fanno in tutto e per tutto il loro lavoro: in pratica, noi siamo andati in pensione ed anche i nostri “lavoratori cerebrali” (neuroni e sinapsi) vorrebbero riposarsi un poco, anche se continuano a fare il loro dovere, e se ogni tanto sbagliano possiamo perdonarli o forse potremmo aiutarli Magari con poco!
E’ tanto difficile ed umiliante portarsi dietro un agendina con i numeri di telefono e gli indirizzi? E se sulla prima pagina di quella agendina scriviamo anche il numero di telefono della nostra casa, con l’indirizzo, o di una persona che sia disponibile ad aiutarci è forse ammettere di essere diventati vecchi oppure è solo un modo di aiutare i nostri “lavoratori” (neuroni e sinapsi) a lavorare di meno e quindi di lavorare meglio?
Ricevere un aiuto non è mai un dramma e non deve essere un dramma neanche chiederlo, a nessuna età specie se l’età è un’età da rispettare.
Il cervello non invecchia mai del tutto se lo si tiene in allenamento in quanto all’età, ad un invecchiamento biologico, non sempre corrisponde un decremento delle funzioni e la qualità di queste può essere migliorata grazie ad esercizi che servono a ricomporre gli schemi mnemonici.
Questi esercizi agiscono su di un’abitudinarietà mentale che in pratica frena il comportamento; per capirci, le funzioni cerebrali influenzano il comportamento di una persona e viceversa, il comportamento può influire sulle funzioni cerebrali.
Ciò avviene in quanto la persona è un’interazione continua tra il vissuto biologico e la percezione dell’ambiente, con tutto ciò che comporta (rabbia, amore, gioia, dolore).
L’invecchiamento cerebrale non significa essersi “rintontoniti” ma bensì può portare ad uno stato di decadimento psichico, globale e progressivo che va ad alterare le funzioni cerebrali di base, influendo sul comportamento e sugli atteggiamenti sociali, e che può arrivare a colpire il sistema della personalità, inteso nei suoi valori logici, di conoscenza, di giudizio e di adattamento all’ambiente sociale.
La demenza senile, invece, così si chiama (proprio perché riferita all’invecchiamento cerebrale), si presenta come una conseguenza diretta di un processo cerebrale ed organico, in cui è implicito il carattere progressivo, irreversibile del decadimento psichico.
Attenzione questo è ciò che si è pensato per lungo tempo, ultimamente si è cambiato atteggiamento verso questo tipo di problematica grazie alla possibilità di potere svolgere una terapia specifica che permetta la stabilizzazione, cioè fermare la progressione del disturbo neurodegenerativo. Oggi si tende ad una diagnosi che possa meglio chiarire la natura della causa del processo, in modo di avere un quadro preciso della forma, del grado e della dinamica evolutiva del disturbo per cercare di potere intervenire sul suo decorso.
Nonostante i passi avanti fatti dalla ricerca scientifica sull’argomento, si continua a discutere sul concetto di potenziale evolutivo della persona colpita da sindrome demenziale affermando che la demenza tende ad un progressivo aggravamento fino al decadimento psichico terminale.
E’, comunque, opportuno crearsi una rete che aiuti lo specialista a meglio comprendere il fenomeno, la sua genesi e la sua evoluzione, a partire dai conoscenti e familiari, persone che possono fornire il profilo comportamentale abituale della persona, con riferimento particolare all’abbigliamento, all’espressione mimica, al comportamento professionale, ai rapporti sociali, all’umore, all’attività sessuale. Particolare attenzione viene data al riscontro dei segni più frequenti quali l’impulsività, le fughe, l’inquietudine, anomalie nella condotta alimentare e nella cura e pulizia della persona.
Non è certamente facile intervenire ed indagare su questa problematica, come non è facile parlarne in modo semplice e comprensibile senza cadere nel ridicolo; recentemente è stato messo in evidenza che alcune sostanze, prodotte naturalmente dall’organismo quali la carnitina (presente nei mitocondri, cioè quelle strutture che possono essere definite come vere e proprie centrali energetiche) e l’acido lipoico (sostanza coinvolta nei casi di resistenza insulinica) provocano un miglioramento delle capacità della memoria, sia temporale che spaziale. Ciò è dovuto al fatto che sia la carnitina che l’acido lipoico riducono il danno dell’ossidazione, migliorando la funzionalità dei mitocondri.
Parlare di Alzheimer significa parlare di perdita della memoria e di declino delle funzionalità cognitive, quindi è importante osservare gli studi su questo disturbo per meglio comprendere come intervenire sul declino della memoria; infatti, le persone colpite dall’Alzheimer mostrano un deficit della memoria prima che venga diagnosticata la patologia, cioè prima che si alterino le qualità dei neuroni, per questo motivo è difficile eseguire una diagnosi precoce di Alzheimer in quanto la sintomatologia iniziale è simile ad un normale calo delle qualità mnemoniche.
Le demenze, le disfunzioni cognitive, le malattie degenerative cerebrali (come l’Alzheimer) sono dovute ad un danno di ossidazione a carico delle strutture cellulari e neuronali, riuscire a ridurre questo danno non solo è utile ma significa fare prevenzione. Fare uso di alimenti che permettano una riduzione dell’ossidazione significa fare un auto prevenzione.
Un passo avanti nella comprensione dei meccanismi della sindrome di Alzheimer è stato fatto. Infatti, è’ stato scoperto un fattore di crescita che protegge le cellule neuronali dalla morte programmata attraverso un circuito che attiva un antiossidante avente la capacità d’eliminare i radicali liberi, che si è visto essere implicati nel generare questo tipo di disturbi e quindi responsabili della disattivazione cellulare.
Per un intervento preventivo, sul decremento cerebrale, è opportuno, come diversi studi dimostrano, una corretta attività fisica, soprattutto di tipo aerobico (camminate, corse, vari tipi di sport, come detto precedentemente) che sembrano avere un’azione protettiva sul cervello e sul tessuto neuronale in genere; svolgere un’attività fisica (sportiva o meno) permette anche di mantenere, ed in alcuni casi incrementare, le abilità cognitive, attenuare i deficit motori, arrivando a stimolare la produzione della neurogenesi, cioè l’incremento di nuove sinapsi attraverso il collegamento tra i neuroni, ciò permette di attenuare, o ritardare, quei deficit neurologici che si potrebbero manifestare in sindromi neurodegenerative, come l’Alzheimer e la Sclerosi Multipla.
Di fatto gli effetti cerebrali dell’esercizio fisico sono simili a quelli prodotti dai più moderni farmaci antidepressivi e ansiolitici.
EMOZIONI, AFFETTIVITÀ E QUALITÀ DELLA VITA
Le emozioni, l’affettività, non svaniscono con il passare del tempo ma sono sempre presenti con la stessa intensità; non si debbono frenare quelli che, in Psicologia, vengono chiamati “sentimenti” (emozionalità, affettività, pulsioni, gioia, paura, rabbia ecc.) e debbono essere vissuti tranquillamente.
La fase del corteggiamento è forse la più bella, e può essere vissuta nello stesso modo nell’arco della vita, poco fa se porta o meno al raggiungimento dell’obiettivo; certo si teme se non dovesse andare a buon fine, penseremo ai nostri amici od alle nostre amiche (o conoscenti), a cosa diranno.
Avere un controllo delle proprie emozioni non significa reprimerle, perché un’emozione repressa porta, quasi sempre, ad una nevrosi e/o ad un disagio sia psicologico che fisiologico, si deve invece cercare di mantenere le emozioni in confini che non creino problemi e cercando di trasformarle in funzioni utili per l’organismo: si deve scaricare la “rabbia” in un modo che non crei problemi a se stessi ed agli altri, magari parlando con un amico o facendo attività fisica, è più utile che prendere una qualsiasi medicina.
La cosa importante è non perdere il controllo delle proprie reazioni emotive, magari seguendo tecniche di rilassamento o di controllo del respiro, ma sempre e comunque vivendosele in pieno.
La gran parte dello stress che viviamo, e che può darci anche problematiche fisiologiche, è dal vivere, od avere vissuto, una vita “sotto pressione”, oltre a questo dipende dalla nostra capacità, o meno, di riuscire a relazionarsi con gli altri, al come reagiamo alle varie circostanze od eventi, positivi o meno, che ci si presentano davanti.
L’affettività, l’emozionalità, è un meccanismo che coinvolge molte funzioni dell’organismo come la frequenza cardiaca, la respirazione, la sudorazione, la tensione muscolare, la digestione ecc..
Avere un controllo della propria emozionalità non significa reprimerla, in quanto un’emozionalità repressa può essere fonte di nevrosi o di un disagio psicofisiologico, controllare l’emozionalità significa riuscire a trovare un equilibrio che potrebbe anche risultare utile all’organismo; l’importante è il non perdere il controllo delle proprie reazioni emotive.
L’emozione è anche una reazione affettiva intensa ma di breve durata, determinata da una stimolazione ambientale; di fatto l’esperienza emotiva, come può essere l’affettività, e l’espressione emozionale possono essere dissociate tra di loro è l’aspetto cognitivo e dell’esperienza che permette la consapevolezza, soggettiva, e la comunicazione della reazione emotiva. Stiamo parlando di questo argomento solo da un punto di vista psicologico in quanto, se dovessimo prenderlo nella sua complessità, dovremmo affrontare un discorso psicofisiologico che non è argomento di questo scritto, diciamo che possiamo considerare lo stato emotivo come intermediatore tra mente e corpo.
Ricordiamoci, però, che l’ambiente, le relazioni, è un fattore importante per definire un rapporto corretto verso la realtà. Ognuno di noi ha una sua specificità biologica, con caratteristiche molto precise, che, però, ha bisogno dell’interazione con gli altri.
In Occidente si è andato a formare un sistema antropocentrico, basato sulla centralità dell’uomo rispetto al resto del mondo e della natura, mentre in Oriente l’uomo è solo una parte del tutto; senza passare da un eccesso all’altro, è importante cercare un equilibrio dove riconoscere a tutti gli esseri, umani-animali-vegetali, che ci circondano un ruolo di parità di diritti e doveri.
Teoricamente è una cosa semplice, il problema è nel metterlo in pratica in quanto la messa in atto non riguarda solo il singolo individuo ma tutta una serie di relazioni sociali in cui si è inseriti, oltre che la tipologia che il gruppo sociale di appartenenza ha con altri gruppi sociali.
Sin da piccoli si viene esposti a condizionamenti (familiari e sociali) che influenzano la crescita, con il passare dell’età questi condizionamenti si evidenziano ostacolando, o meno, il processo di socializzazione, al punto che ci si può sentire inadeguati senza esserlo anche influenzati dalle battute o dalla svalorizzazione da parte delle altre persone.
L’atteggiamento svalorizzante è un meccanismo di difesa in cui si pretende che l’altro si adegui alle opinioni del gruppo, non gradendo la spontaneità di pensiero: il rapporto dei valori che si vengono ad instaurare determinano quella che viene definita “qualità della vita”, in pratica tutto ciò che può rendere desiderabile il vivere.
Questo è però in contrasto con un edonismo dilagante, anche ad una certa età, che non si concilia bene con il solo avere, od essere in buona salute, vivere dei buoni e soddisfacenti rapporti interpersonali, avere un’esistenza tranquilla; questi valori non si conciliano con una società edonistica che rincorre valori distanti da quella che si può definire una buona qualità della vita: cercare di soddisfare solo se stessi ed i propri bisogni non permette di instaurare buoni rapporti interpersonali, non bastano solo i soldi per essere felici.
Fermo restando che ognuno di noi ha diritto di fare le sue scelte è però vero che se queste limitano, o cercano di farlo, quelle degli altri si ha altrettanto diritto di fermarli; l’uomo non utilizza del tutto le proprie capacità, sia a proprio beneficio che di quello della collettività cui appartiene, scoprire e cercare di utilizzare quanto più è possibile queste capacità è importante a qualsiasi età per potere migliorare la società e noi stessi.
L’individuo ha bisogno di sentirsi accettato e valorizzato, sia da se stesso che dagli altri, in particolare dalle persone a cui è legato, per poter determinare un corretto utilizzo delle sue capacità a favore di una migliore interazione con e nella società.
Oggi si tende a sostituire il naturale con l’artificiale che può anche essere visto come una derivazione, una interconnessione tra il sociale e il naturale, ma resta il fatto che una cosa è vivere nell’autentico naturale e una cosa in un naturale artificiale. Questo ci porta a una concezione non corretta dei rapporti che si devono avere con la realtà reale, basandosi su rapporti connessi con una realtà mistificata: usare le cose che ci circondano è sicuramente importante ma più ancora è riuscire con semplicità a usufruire di queste cose. Questo meccanismo ci permette di cogliere nelle cose non solo ciò che è adatto, ma anche ciò che è bello; questi sono due aspetti che possono convivere e fruire più che usare permette di passare dall’egocentrismo all’essere sociale, cercando di educare anche gli altri al fare e non tanto al sapere, meglio educare al sapere ciò che si fa.
La ricerca di una migliore qualità della vita deve essere mirata a coinvolgere la persona sia collettivamente che individualmente, in quanto il benessere di uno diventa il benessere di tutti e viceversa.
Ora questi discorsi possono sembrare slegati tra di loro, cosa c’entrano le emozioni con l’affettività con la ricerca di una migliore qualità della vita?
Per quale motivo ci si ricorda di cercare una migliore qualità della vita o si decide di aiutare gli altri o chiedere aiuto per se stessi solo quando ci si trova in situazioni difficili o che impegnano il nostro stato emotivo ed affettivo?
Ogni persona nasce egocentrica. Infatti, il bambino riferisce tutto a se stesso, ma con il crescere scopre che non è il singolo individuo la misura di tutte le cose ma la somma degli individui; prende coscienza che non ci sono persone che si oppongono a noi ma persone che possono avere delle idee diverse dalle nostre. Purtroppo spesso crescendo ciò non si verifica e prevale il pensiero che tutto ci sia dovuto e niente dobbiamo.
Questo comporta un rapporto disarmonico affettivo ed emotivo in cui c’è una persona, o gruppo, che comanda e gli altri obbediscono, rendendo difficile distinguere l’uso dall’abuso.
Comprendere il perché si agisce, essere coscienti di ciò che si fa, significa non mascherare e non mistificare le finalità a cui si vuole giungere, ridefinendo i rapporti nelle giuste proporzioni.
Qualche emozione infantile fa meglio all’adulto che un’ipocrita bugia. Se non altro, sarà posta la premessa che non si debba mentire a meno che non vi si è costretti.
Migliorare la qualità della vita significa rispettare gli altri, ma ciò non si può fare se non si rispetta innanzitutto se stessi.
LA SESSUALITÀ NEGLI ANZIANI
Il climaterio è un periodo della vita in cui le ghiandole genitali subiscono dei processi involutivi, fino ad arrivare all’interruzione dell’attività riproduttiva, ciò non significa l’interruzione della sessualità, anche se il calo dell’appetito sessuale con il passare dell’età è normale, ma di interruzione dell’attività riproduttiva, cioè l’interruzione dell’ovulazione nella donna ed un decremento degli spermatozoi nell’uomo.
Non c’è un’età stabilità in cui inizia: una persona ad ottanta anni può mantenere invariata sia la prestanza sessuale che continuare ad avere un apparato riproduttivo funzionante, vi sono svariati casi di uomini e donne che ad età avanzata hanno figli perfettamente sani.
Il climaterio maschile avviene in modo poco vistoso, viene in un qualche modo anche non considerato anche se si sente parlare di andropausa cioè la diminuzione dell’attività genitale maschile che si può prolungare tra i cinquanta anni in poi, anche se è difficile darne un inizio cronologico nell’ambito del normale processo dell’invecchiamento.
Nella donna si può accompagnare a sintomi clinici e psicologici, in particolare la depressione, rappresentando il passaggio dallo stato riproduttivo a quello di interruzione della riproduttività e si divide in premenopausa, menopausa e postmenopausa, fasi che precedono il normale invecchiamento.
Gli stati depressivi possono accompagnare la donna durante il climaterio di contro, anche se non ci sono studi fatti a dimostrazione, nell’uomo il periodo dell’andropausa può accompagnarsi a stati di cambi improvvisi di umore che arrivano all’irascibilità immotivata.
Comunque sia per la donna che per l’uomo è consigliabile, al primo apparire dei sintomi, eseguire dei controlli periodici sull’apparato sessuale, delle condizioni del seno (per le donne) mediante delle mammografie, cercare di mantenere una dieta equilibrata, camminare, ballare, giocare a bocce evitando la sedentarietà, cercare di distrarsi, divertirsi, stare in mezzo agli altri e tenere, comunque, la mente impegnata.
Non si impara ad amare od a fare l’amore e non ci si può dimenticare di come si ama, ogni incontro, ogni relazione sentimentale, accompagnata o meno da rapporti sessuali, è un’esperienza unica ed irripetibile; spesso, arrivati ad una certa età, si lega la sessualità a condizionamenti sociali, religiosi e culturali, mascherando in questo modo le proprie paure ed insicurezze.
La sessualità, l’affettività, deve essere vissuta liberamente a qualsiasi età, senza vergognarsene perché è naturale amare, desiderare un’altra persona, anche quando si è anziani serve, anche ad evitare stress inutili, come il non sapere proporsi per paura di sembrare ridicoli o di ricevere un rifiuto, avere rapporti sessuali fa bene a qualsiasi età, aiuta ad avere una buona salute sia fisica che psichica.
Esternare i propri desideri affettivi, le proprie aspettative emotive significa accettarsi senza porsi falsi problemi, rispondendo in modo corretto ai propri bisogni, considerando anche il desiderio sessuale come un fatto naturale, lasciandosi andare fidandoci, nel proporci, di noi stessi e delle nostre capacità: lasciamo parlare il corpo.
Il rapporto sessuale è un momento che, se ben vissuto, può essere un piacere intenso che, anche a 70 anni, può portare all’orgasmo. Ricordiamoci che nella donna il clitoride non perde la sensibilità, anche se le pareti vaginali sono meno elastiche e si ha una minore lubrificazione, cosa che può creare dei problemi; esistono delle soluzioni a questo, come i lubrificanti. Nell’uomo il pene ha meno vigore ma anche se si è meno sensibili alle stimolazioni visive quella tattile rimane.
In passato si era portati a pensare, culturalmente, che una donna in menopausa, cioè fuori dal periodo fertile, potevano anche vedere conclusa la propria vita sessuale, venendo considerate quasi come esseri asessuati; oggi c’è stato un cambiamento culturale e si considera che la vita sessuale esiste per tutto l’arco della vita e si può continuare ad avere rapporti sessuali ed a vivere la propria affettività a qualsiasi età.
Non si deve rinunciare a priori ad una vita affettiva e sessuale soddisfacente solo perché ci si sente anziani, perché c’è un calo del desiderio, questo è un fatto naturale legato alla produzione ormonale di estrogeni, progesterone e testosterone, che hanno un ruolo specifico sia nel desiderio che nell’atto sessuale.
Essere in menopausa od andropausa non significa avere perso la propria personalità, il proprio fascino, non avere cura di se e degli altri; significa magari, specie se si è a riposo dal lavoro, avere più tempo per se stessi e per gli altri.
La vita sentimentale e sessuale viene vissuta in modo diverso, magari con meno impeto ma con più soddisfazione e confronto; certo possono diminuire i rapporti sessuali completi ma rimangono pur sempre gli atteggiamenti affettivi, come camminare abbracciati o mano nella mano, e questo non può che incrementare il fascino della relazione.
La cosiddetta terza età vale solo per l’anagrafe perché può non corrispondere ad una decadenza fisica, psichica e sessuale sia per l’uomo che per la donna.
E’ vero che si verificano dei cambiamenti fisiologici e psicologici, il corpo cambia sia nelle proporzioni che nell’elasticità della cute che nel tono muscolare, ma questo non deve essere vissuto come un vero e proprio decadimento del fisico.
Vi è anche una diminuzione delle capacità sensoriali che, con adeguati accorgimenti (tipo gli occhiali per la vista o gli apparecchi acustici per l’udito), possono essere superati; è comunque sempre consigliabile fare un’adeguata attività fisica per avvertire, anche psicologicamente, di meno questi cambiamenti.
Si vive ancora in una società che considera la vecchiaia come l’anticamera della morte e, quindi, in qualche modo costringe, culturalmente, l’anziano a vivere una morte sociale: non si diventa “vecchi” per età anagrafica ma lo si diventa quando si abbandonano le cose in cui si è sempre creduto senza averne delle nuove.